Considerazioni intorno agli Statuti degli Atenei e ai princìpi di civiltà

Vi ricordate la Legge Gelmini? La riforma del sistema universitario contro la quale tantissimi studenti sono scesi in piazza per manifestare il proprio dissenso?

Ecco, quella legge impone pesanti modifiche allo statuto delle università. Cos’è questo statuto? È un super regolamento che ogni università adotta in cui vengono disciplinati l’organizzazione e il funzionamento della medesima università.

C’è tanto da confrontarsi e da discutere, ma in questa sede tralascerò di proposito gli aspetti più pratici e scottanti, soffermandomi invece su pochi princìpi e istruzioni che dovrebbero essere condivisibilissimi al giorno d’oggi ma che spesso non trovano esplicita menzione in questi documenti. Che non mi si taccia di voler nascondere i fatti operativi, critici e di necessaria modifica (perché prevista dalla legge) allo statuto, ma è indispensabile aggiornare i princìpi generale affinché essi si conformino agli attuali princìpi di civiltà.

1)È importante che ogni università pubblica faccia riferimento alla laicità delle istituzioni nello statuto: l’imparzialità rispetto a differenti coscienze, religioni e pensieri e l’autonomia dagli enti confessionali è cruciale nell’istruzione, nell’insegnamento e nella ricerca che devono essere liberi da qualsiasi subordinazione diretta o indiretta.

Per l’Università degli Studi di Firenze [prendo essa perché lì frequento] si può aggiungere la parola “laico” prima di “pluralistico” al comma 2 articolo 1 (“[L’Università] afferma il proprio carattere pluralistico, indipendente da ogni condizionamento religioso, ideologico […]”). Non suona meglio “laico, pluralistico e indipendente”?

A tal proposito mi duole ricordare cosa successe all'inaugurazione dell'anno accademico 2010-2011 (link), ma è una brutta prassi che, almeno dal 1993, va avanti in questo modo (link). Sfruttare la mailing list di Ateneo (di TUTTI: docenti, personale tecnico-amministrativo, lettori, studenti, etc.) per pubblicizzare/invitare ad un evento religioso, che si tiene in concomitanza con l’inaugurazione dell’anno accademico magari è gentile, ma è ancor più confessionale e assolutamente non laico.

2)Per pari opportunità [d’ora in avanti: P.A.], ormai, non si intende più esclusivamente la parità tra uomo e donna (in quanto uomo e in quanto donna), ma di tutti gli esseri umani che non devono essere discriminati. Vincolarsi all’esclusiva discriminazione relativa al sesso senza ampiamente sviluppare il rifiuto di qualsiasi discriminazione è in un certo senso un privilegio, in contrasto con lo stesso principio delle P.A., come se il sessismo fosse una discriminazione più grave, e.g.., dell’omofobia o dell’antisemitismo.

A un certo punto del nuovo statuto a Firenze comparirebbe, tra le finalità dell’Università, la “realizzazione delle P.A., anche di genere, in ogni aspetto della vita accademica, promuovendo azioni positive atte a rimuovere ogni discriminazione”. Apprezzo l’intento di voler segnalare che le P.A. siano “non solo di genere” (una mia interpretazione), ma è veramente poco chiaro. Si può scrivere per esteso “P.A., senza distinzione alcuna per ragioni d'età, di sesso, di orientamento sessuale, d'identità di genere, di disabilità, di origine etnica, nazionale o sociale, di coscienza, di religione, di opinione, di lingua, di censo, di ricchezza, di nascita o di altra causa o condizione, promuovendo […]”. Mai essere avidi di parole quando c’è da stabilire un principio troppo spesso calpestato.

3)Anche i vincoli quantitativi sulla rappresentanza (le quote rosa) di una sola categoria, che si ritiene a torto o a ragione discriminata, in automatico produce una discriminazione verso tutte le altre categorie: sarebbe un privilegio immeritato concesso alle donne e non, e.g., agli omosessuali o agli ebrei. Quale merito particolare avrebbero le donne rispetto a un disabile nel trattare di P.A.? Sarebbe in ogni caso assurdo uniformare la rappresentanza in modo da “farci entrare tutti”: metà uomini e metà donne; un quarto omosessuali, un quarto etero, un quarto bisex e un quarto asessuati; metà giovani e metà vecchi; etc. Inoltre non è detto che un uomo non possa essere adatto a trattare delle P.A. per le donne, e questa situazione non è malvista, come molti credono (mi viene in mente lo spot di “Se non ora, quando?” in cui il ministro delle P.A. era uomo e il ministro dell’economia donna…).

Sempre a Firenze ma penso anche da altre parti, si sta delineando un Comitato per le P.A.. Il difetto principale è che si propone di promuovere le P.A. solo tra i lavoratori, come se gli studenti non ci fossero in Università. Per questi ultimi rimarrebbe solo il Garante dei diritti, ma nonostante la professionalità di chi suole ricoprire questo incarico egli/ella si può esprimere solo “su istanza”, potrà cioè esclusivamente esprimersi su questioni poste dagli studenti (e non solo) e non può (a differenza del Comitato) promuovere, proporre e verificare senza istanza.

Altra critica legittima è l’orientamento di questo Comitato, tutto incentrato sull’”efficienza delle prestazioni” del personale, come se la garanzia delle P.A. si facesse non perché è giustizia e civiltà, ma perché dal non tutelarle ne conseguirebbe un calo prestazionale! Su questo però c’è poco spazio di manovra poiché il ministro Brunetta ha preteso questa impostazione. L’unico modo per uscirne sarebbe un Comitato parallelo che si occupi non solo di vita lavorativa, ma di vita accademica in senso più ampio possibile.

4)C’è un’ultima questione che mi pare grave e quindi mi sembra giusto segnalare. Ai miei bei tempi (cioè anni ’90/albori del 2000) ci insegnavano che le razze umane non esistono, qualcuno diceva: “la razza umana è unica”, ma se essa è unica allora è anche inutile classificarla in razza. Salvo contesti fantasy (elfi, nani, gnomi, etc.) gli esseri umani non hanno razza, e infatti gli stessi biologi (correggetemi se sbaglio) utilizzano altri termini come “specie”, “popolazione”, etc., e “razza” viene usato esclusivamente quando l’uomo stabilisce dei particolari accoppiamenti per favorire alcuni caratteri invece che altri (razze canine, equine, bovine).

Nello statuto di Firenze è scritto che il comitato P.A. garantisce “l’assenza di qualunque forma di discriminazione, relativa […] alla razza” vuol dire implicitamente affermare l’esistenza di più tipi di razze (umane)! È proprio sbagliato com’è scritto, ed è totalmente differente dallo scrivere “combattiamo il razzismo” (che esiste!) o “le discriminazioni razziali” (che esistono!), ma si parla di discriminazioni “relative” alla razza, come se queste discriminazioni avessero la scusante dell’esistenza delle razze! Il termine va abolito, per una proposta di modifica si può fare come ho proposto poco sopra (le P.A. per esteso), così da includere tutti. I giuristi potrebbero giustamente replicare che il termine “razza” è scritto nella Costituzione italiana nello stesso modo, che addirittura all’ONU si parla di discriminazioni “basate/fondate sulla razza”, il ché è ancora peggio perché se sono basate/fondate sarebbero comprensibili, o peggio ancora giustificabili. Faccio notare però a questi cittadini che questi documenti risalgono a tanti anni fa (Costituzione: ’48; Dichiarazione dell’ONU sull’eliminazione di ogni forma razziale: ’63) e sarebbe il caso di aggiornarsi, visto che la legge e il linguaggio giuridico sono sempre adatti al passato, ma spesso non reggono il correre dei tempi.

Concludo con un pensiero: c’è da rabbrividire che la formazione delle persone di una certa età si è fermata a prima di molte rivoluzioni scientifiche (tipo l’abolizione del concetto di razza), e solo chi ha dovuto studiarle perché è il proprio settore o è onesto con se stesso conosce la questione.

Sempre a vostra disposizione, non mi piacciono le osservazioni a senso unico: è meglio che se ne discuta insieme!

Commenti

  1. Completamente d'accordo, soprattutto per quanto riguarda la parte sulle quote rosa!

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  2. Ciao Michele, come va?
    Da te si parla di Statuto? Come sta andando?

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  3. Ciao Roberto, tutto bene, ancora alle prese con lo studio, te come va? :D

    Purtroppo..(no, non è vero "purtroppo", diciamo per mie scelte di "priorità"), seguo le varie associazioni studentesche dell'UniSa solo per vie telematiche e per ora si parla solo della riduzione dei punti all'esame finale, di Statuto non ne ho sentito parlare.

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